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Le altre due figure sono illeggibili, anche se il frammento
di scrittura della prima sembra riferirsi a san Nicola da
Tolentino (personaggio che è affrescato anche sulla parete
destra), mentre il fodero di una lunga spada nella seconda
sembra richiamare l'attributo iconografico di san Giuliano.
Infine,
si possono ammirare le figure di san Gregorio Magno, come indica
la scritta (Gregorius), e del Battista nell'atteggiamento
di proclamare la presenza tra gli uomini dell'«Agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo» (fig.
53).
Il primo
è ritratto come di consuetudine con la tiara e con il
libro delle Sacre Scritture nella mano sinistra, mentre
con la destra impugna uno stilo.
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Il secondo mostra la
presenza dell'Agnus Dei: indica l'Agnello,
simbolo cristologico, all'interno di una piccola sfera
rossa ormai sbiadita e tiene il cartiglio con le parole
pronunciate in occasione del battesimo
di Cristo nel fiume Giordano: Ecce (agnus) dei,
ecce qui (t)ole(t) (peccatum
mundi)13, (Giovanni, 1, 29). Ai lati del
Precursore sono richiamati i momenti più salienti della sua
vita (fig. 43):
il battesimo di Gesù nel fiume Giordano,
la
danza di Salomè e il martirio nel carcere di Macheronte. Al di
sotto della monofora sono rimasti alcuni frammenti della Fuga in
Egitto, riconoscibile per la donna col bambino in braccio su di
un asinello tirato da un uomo . L'immagine fa parte di un
trittico che comprendeva l'Adorazione dei Magi e la
Presentazione al Tempio, affreschi strappati durante i lavori di
recupero dell'antica monofora e oggi collocati nella navata
della chiesa (fìgg.
89
- 90).
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La
parete centrale
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Nel
registro sottostante il frammentario affresco
dell'Annunciazione, la parete centrale (fig.
54) presenta un
originario trittico, di cui restano solo due figure (fìgg.
55
- 56).
Sono, come indicano le relative didascalie, san Lorenzo (S.
Larentius), martire del III
secolo, e ancora il Battista (S. ]oh[ann]es ba[ptist]a), ritratto
secondo il canone già incontrato nella parete sinistra. Sono
affreschi di pregevole fattura, come dimostrano i volti, il
movimento delle mani e la ricchezza del vestito del santo
diacono. Ai piedi di Giovanni è raffigurato, in atteggiamento
di preghiera, il committente dell'affresco. Più
in basso sono rimasti due piccoli riquadri che con ogni evidenza
illustravano la vita di un vescovo martire, vittima della
persecuzione imperiale.
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Il primo mostra un angelo che solleva
dalle acque il vescovo gettato in mare dai soldati. Il martire
è ritratto nudo, con la mitra e l'aureola, indizio di
conclamata santità. Nel secondo riquadro, legato ad un palo,
egli subisce la flagellazione ordinata dall'imperatore ad opera
di due carnefici, uno dei quali di chiara origine africana (fìgg.
58
- 59).
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Queste
bellissime immagini ci ricordano un tema caro all'agiografia
campana, tratto da passiones redatte tra il IX e il XII
secolo. È il topos dei santi martiri cristiani di
origine africana, che vengono imbarcati su navi sconquassate dai
loro persecutori, con l'intento di farli morire in mare e
disperdere le loro potenziali reliquie tra i flutti. Ma il santo
equipaggio, grazie all'intervento divino, spesso rappresentato
con la figura di un angelo-guida, riesce a raggiungere incolume
le coste campane14. Lo narra per primo Vittore di
Vita (V secolo) nella Storia della persecuzione vandalica in
Africa15: «Allora [Genserico] ordinò che
persino il vescovo della summenzionata città, cioè di
Cartagine, noto a Dio e agli uomini, che aveva il nome di
Quodvultdeus, e una grandissima turba di ecclesiastici,
imbarcata su navi sfasciate, nudi e spogliati fossero cacciati
via. Ma il Signore nella misericordia della sua bontà si degnò
di farli pervenire con prospera navigazione a Napoli, città
della Campania»16.
Su
una nave forata furono imbarcati, ad esempio, i vescovi africani
Prisco17, Castrese, Rosio, Canione e Tammaro18,
vittime della persecuzione dell'imperatore Valente (368 o 378);
ma ognuno di essi, grazie all'aiuto di un angelo, raggiunse la
sede episcopale che Dio gli aveva predestinato.
Protagonista
di una traversata miracolosa fu anche sant'Erasmo, vissuto in
Siria nel IV secolo e vittima della persecuzione dell'imperatore
Diocleziano; fu liberato dalle prigioni imperiali da un angelo,
con cui sorvolò il mare per raggiungere l'Illirico e poi Formia19.
Queste
narrazioni si diffusero nel medesimo periodo in cui le coste
campane furono meta delle incursioni saracene. Probabilmente la
devozione per questi particolari tipi di santi servì ad
esorcizzare il pericolo che veniva dal mare20.
Volgendo
lo sguardo agli affreschi non è facile stabilire chi sia il
santo qui raffigurato. Si potrebbe supporre che si tratti di
sant'Erasmo perché il suo culto, a livello locale, ebbe una
diffusione più fortunata rispetto ai santi Castrese, Canione,
Prisco, ecc.; lo testimonia la chiesa a lui dedicata nel XIV
secolo a Durazzano, in prossimità di Sant'Agata de' Goti21.
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Al
centro della parete, al di sotto della monofora che filtra la
luce attraverso i colori densi e ricchi della vetrata di Bruno
Cassinari (fig.
91), due angeli sorreggono il Crocifisso;
l'affresco, con molta probabilità, sovrastava l'antico altare
addossato alla parete, così come prescrivevano le norme
liturgiche del tempo.
Segue
l'immagine di una santa di origini regali (indossa una corona),
che sostiene con la mano sinistra una scatola lignea suddivisa
in tre comparti e con la destra, aiutata da un utensile simile
ad uno stretto cucchiaio, sembra mescolarne il contenuto. Gli
oggetti che impugna sono uguali a quelli che talvolta sono
soliti identificare i santi Cosma e Damiano22, che
praticavano l'arte medica.
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È possibile che si tratti di santa
Elisabetta d'Ungheria (1207- 1231), figlia del re Andrea e
attiva nella cura degli ammalati23. Se così fosse,
questa immagine rappresenterebbe una versione
piuttosto singolare della santa, che più spesso
veniva ritratta come una terziaria francescana (fig.
60). Il culto di Elisabetta
d'Ungheria fu particolarmente sostenuto, nel territorio campano,
da Maria d'Ungheria, pronipote della santa e moglie di Carlo II.
Fu lei a commissionare gli affreschi con le storie della vita di
santa Elisabetta nella chiesa di S. Maria Donnaregina, a Napoli. |
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Chiude
la parete il tabellone istoriato di san Biagio (S. Blasius), vescovo
e martire del IV secolo24, il cui martirio sarebbe
avvenuto all'epoca dell'imperatore Diocleziano o dell'imperatore
Licinio. Anche in questo caso la figura intera del santo -
ritratto con una lunga barba bianca, mitra, pastorale e in atto
benedicente - è attorniata da piccoli riquadri che ricordano
episodi particolari della sua vita (figg.
61
- 62). La prima
scena, in alto a sinistra, si riferisce al periodo in cui il
santo, appena eletto vescovo di Sebaste, città della Cappadocia,
andò a vivere in una caverna presso il monte Argeo per sfuggire
alla persecuzione imperiale. Egli è raffigurato in una grotta,
dove in ginocchio prega (fig.
63). La letteratura agiografica
narra che visse in estrema solitudine nel proprio eremo;
soltanto gli animali selvatici si recavano da lui mansueti e non
si allontanavano finché egli non avesse posto su di loro la
mano in segno di benedizione. Il tema dell'affetto del santo
verso gli animali fu assai diffuso nell'agiografìa dell'Alto
Medioevo latino; uno degli episodi più ricorrenti, utilizzati
per manifestare la familiarità tra santo e bestie selvatiche,
fu proprio quello degli animali braccati dai cacciatori che
venivano salvati dall'ospitalità di un eremita25. |
Attraverso questa familiarità si manifestava il potere del
santo sul mondo animale e quindi l'obbedienza che esseri
inferiori osservavano davanti a chi era sottoposto totalmente a
Dio26. Il primato dell'uomo sul mondo animale era del
resto un concetto acquisito del pensiero cristiano: «Dio poi
benedì Noè e i suoi figli, dicendo loro: siate fecondi,
moltiplicatevi [...] La paura di voi e il terrore di voi siano
in tutti gli animali selvatici e in tutti gli uccelli del cielo,
come in ognuno che striscia sulla terra e in tutti i pesci del
mare; essi sono dati in vostro potere» (Genesi, 9, 1-2)27.
Ma l'uomo del Medioevo difficilmente riusciva a porsi come
dominatore sulla natura, anzi ne era spaventato. E gli animali
del deserto, resi mansueti dai primi eremiti, come i due leoni
che aiutano sant'Antonio abate a scavare la tomba di san Paolo,
erano visti, nel mondo occidentale, come la fauna delle foreste,
con i suoi orsi e i suoi cervi, per citare solo due delle specie
più diffuse e temute. L'uomo medievale, non riuscendo a
sottomettere la natura, si affidava ai santi eremiti, che
riuscivano a domarla in virtù della loro totale dedizione a Dio28.
Tornando
al primo quadro del tabellone di san Biagio, vediamo che
l'eremita è in atteggiamento orante, ma volge lo sguardo ad un
gruppo di uomini che sembrano essersi uniti a lui da poco.
Singolare episodio che non ha riscontri nelle fonti letterarie,
in cui è scritto che gli unici uomini incontrati dal santo nel
proprio eremo furono dei soldati, mandati dal governatore della
provincia. Questi, durante una vana battuta di caccia, trovarono
animali di ogni specie dimorare in tranquillità proprio lì
dove Biagio era intento a pregare. La familiarità del santo con
gli animali è invece rappresentata, seppure in secondo piano,
da figure ormai sbiadite, poste alle spalle dei fedeli in
preghiera, tra le quali si distingue un piccolo quadrupede
bianco.
Il
riquadro subito in basso testimonia la cattura del santo
ordinata dal governatore imperiale; due soldati scesi da cavallo
(si vedono ancora le zampe anteriori di un animale) afferrano
l'eremita che non oppone resistenza (fig.
64).
La
terza scena, che presenta grosse lacune, mostra l'incontro
avvenuto nella città di Sebaste tra san Biagio, condotto dai
soldati imperiali, ed il governatore Agricolao, seduto in trono
e con in capo la corona di alloro. La presenza di una colonna
sormontata da un idolo (una piccola figura bianca antropomorfa)
fa ipotizzare che questa scena non si limiti a rappresentare
l'incontro tra il temibile governatore Agricolao, «immitis,
ferox, crudelis et secundum nomen suum agrestis»29,
e Biagio, ma tenti anche di descrivere l'occasione in cui
avvenne uno scambio di battute tra i due, che la letteratura
agiografica ci ha tramandato. Sarebbe il momento in cui
Agricolao saluta Biagio chiamandolo provocatoriamente «amico
degli dei»; mentre il santo, rispondendo prontamente, definisce
gli dei «demoni». La risoluta risposta del santo ne sancì
l'incarcerazione e la fustigazione.
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L'ultimo
riquadro rimasto è relativo ad un celebre evento miracoloso (fig.
65): un bambino soffocato da una lisca di pesce viene
guarito dal santo. Tra le figure prossime al carcere del santo -
Biagio è in prigione, lo suggerisce la struttura architettonica
in cui è inserito - in primo piano è una madre, che mostra al
santo il proprio figlio, sostenendogli il capo. L'artista lo ha
ritratto con la bocca aperta, proprio come chi, avendo difficoltà
respiratorie, socchiude le labbra sperando di poter trarre un
poco di giovamento. Biagio, richiamato dalle invocazioni di
aiuto della donna, impartisce la benedizione al fanciullo
inginocchiato davanti a lui. Gli agiografi ci informano che nel
momento in cui Biagio fece il segno della croce vicino alle
labbra del bambino, questi immediatamente espulse la lisca di
pesce e guarì. |
L'episodio ebbe tanta fortuna nel corso dei
secoli che ancora oggi il 3 febbraio, giorno anniversario della
morte del santo, i fedeli sono soliti farsi ungere la gola con
l'olio benedetto. Nella stessa ricorrenza in Francia, Spagna,
Germania e Italia venivano distribuiti - e in alcuni luoghi la
tradizione sussiste ancora - piccoli pani che nella forma
ricordavano le parti del corpo malate; a Milano in occasione
della festa di san Biagio si mangia una fetta di panettone
conservata appositamente dal giorno di Natale30.
La
parete destra |
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La
parete destra (fig.
66) si presenta interamente affrescata senza
la monofora, ma con un occhio di luce che permette al sole di
mezzogiorno di rischiarare lo spazio sacro. Gli affreschi sono
disposti su tre registri: sul primo, in alto, è rimasta la
figura di sant'Antonio abate, già descritta, e resti di una
Annunciazione; sul secondo sono effigiate le storie di
sant'Orsola, di san Nicola da Tolentino e quelle di un santo di
dubbia identificazione; sul terzo, la Sacra Famiglia, san Nicola
di Mira ed un santo diacono. Un
primo grande affresco dedicato a sant'Orsola è purtroppo assai
lacunoso. Ma è evidente che la santa era stata ritratta in
posizione centrale, attorniata dalle vergini che condivisero con
lei il martirio. Le figure femminili rivolte in preghiera verso
la santa sono infatti tutte raffigurate con il nimbo. Orsola,
figlia di Noto o Mauro, principe cristiano della Gran Bretagna
vissuto nel IV secolo, fu martirizzata a Colonia insieme alle
sue undicimila compagne31. |
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Si
racconta che un arrogante re d'Inghilterra volesse far sposare
il proprio figlio unigenito con Orsola, nota ovunque - come si
conviene ad una futura santa - per contegno, sapienza e
bellezza. Per ritardare l'indesiderato matrimonio, la giovane
convinse il padre ad acconsentire alla volontà del sovrano (una
risposta negativa alla proposta di questi avrebbe potuto
scatenare una guerra), purché lei potesse disporre di un
periodo di tempo pari a tre anni da dedicare ancora alla sua
verginità e affinché il futuro sposo fosse istruito nella
fede. Le furono concesse dieci vergini per esserle di compagnia
e consolazione e poi ancora altre mille vergini furono concesse
alle undici fanciulle. Ponendo molte difficoltà. Orsola cercava
di distogliere il re dal suo proposito. Passati i tre anni
concordati, la giovane fuggì con una flotta di undici triremi
insieme alle sue undicimila compagne. Durante il viaggio, nei
pressi di Colonia, un angelo le apparve predicendole che in quel
luogo avrebbero tutte ricevuto la corona del martirio. Su
indicazione dell'angelo si diressero a Roma, dove papa Ciriaco
le ricevette con grandi onori. Scrive Iacopo da Varazze:
Durante
la notte il papa ebbe la rivelazione divina che anch'egli
avrebbe ricevuto
la palma del martirio assieme a tutte le vergini. Non ne parlò
a nessuno; battezzò
anche tutte le vergini che non erano ancora state battezzate, e
visto che era ormai
giunto il momento opportuno, dopo essere stato il 19°
successore di Pietro per
un periodo di un anno e
11 settimane, radunò tutti
e rivelò il suo proposito, rinunciando alla carica e ai
suoi onori32.
La
Legenda Aurea ci
informa che il papa fu ritenuto folle, le vergini definite dal
clero di Roma «donnette pazze»33. I capi dei
soldati di Roma, Massimo e Africano, vedendo la moltitudine di
vergini e la folla che accorreva per unirsi ad esse, temettero
che la religione cristiana si diffondesse troppo per causa loro.
Studiarono quindi l'itinerario dell'insolito corteo e mandarono
messaggeri al re degli Unni, perché le vergini fossero
trucidate appena giunte a Colonia. Questo l'antefatto.
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L'artista
inizia la narrazione della storia di sant'Orsola dal viaggio
attraverso il mare compiuto dalla moltitudine di vergini
accompagnate da papa Ciriaco. Il pontefice, riconoscibile dalla
tiara, è seduto sull'imbarcazione, a poppa, e benedice sia le
donne salite a bordo che quelle che stanno per imbarcarsi; la
nave è ormeggiata, la vela non è ancora stata spiegata (fig.
70). Nella seconda scena la nave, con il suo carico di santità,
viaggia per raggiungere Colonia (fig.
71). La vela in questo
caso è stata disegnata spiegata, gonfia per la forza del vento.
La città dell'annunciato martirio è prossima: si scorgono i
palazzi su una rupe rocciosa. |
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Papa Ciriaco sembra avere le
funzioni di un comandante, che, consapevole dell'obiettivo da
raggiungere, conduce il proprio equipaggio verso la meta
prefissata, ovvero il martirio. Il pontefice impartisce l'ultima
benedizione alle vergini; tra queste è raffigurata, in primo
piano, Orsola34. Nell'ultimo
riquadro è illustrata la strage delle vergini: cavalieri e
fanti escono dalla cinta muraria della città e infieriscono
sulla folla cristiana disarmata. Gli ultimi a soccombere sono
proprio papa Ciriaco e sant'Orsola, entrambi feriti mortalmente
dalle lance degli Unni (fig.
72). Così è narrato nella Legenda
Aurea il martirio della santa: |
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Quando
i barbari le videro si gettarono urlando contro di loro, e si
scatenarono
furiosamente come lupi fra gli agnelli, uccidendo tutta quella
moltitudine. Quando,
massacrate le altre, giunsero a sant'Orsola, il capo degli Unni,
vista la sua bellezza,
rimase pieno di stupore, e, cercando di consolarla della strage
delle altre vergini,
le promise che l'avrebbe sposata. Orsola però rifiutò, e il
capo unno, vistosi
disprezzato, le scagliò contro una freccia, che la trapassò
uccidendola35.
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Palese
è l'affermata santità di Orsola e delle sue compagne attraverso
il sacrificio nel sangue: nel momento stesso in cui si compie il
martirio sono ritratte col capo nimbato.A
fianco del tabellone istoriato di sant'Orsola è visibile quello
dedicato a san Nicola da Tolentino. Il nome del santo è
deducibile attraverso i resti di una didascalia apposta a
lettere bianche su fondo azzurro nel riquadro che lo ritrae a
figura intera. Egli appare, come di consuetudine, con aspetto
giovanile, il viso glabro, il capo tonsurato (fig. 73
). Secondo
la Vita redatta da Pietro da Monterubbiano56,
la sua nascita, avvenuta a Sant'Angelo in Pontano nel 1245, fu
dovuta alla intercessione di san Nicola di Mira, che l'aveva
preconizzata ai suoi genitori in un sogno. Il bambino, dalle
precoci inclinazioni ascetiche, già a undici anni entrò come
oblato presso i frati dell'ordine di sant'Agostino, nella
propria città natale. La sua vita fu caratterizzata da una
condotta esemplare, fatta di preghiera, sacrifici, digiuni e
costanti attenzioni nei confronti dei bisognosi, che confortò
con numerosissimi miracoli, anche dopo la propria morte.
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Il
primo quadro degli affreschi propone il «miracolo delle pernici»
(fig.74). L'evento prodigioso fu testimoniato da Berardo
Accorimboni, vescovo di Camerino ( 1310-1327 ), durante il
Processo di canonizzazione del santo3'. Il prelato
asserì che, intorno al 1305, fu servito a Nicola, debilitato
dai costanti digiuni a cui era solito sottoporsi, un piatto con
una coppia di pernici arrosto. Il santo, desideroso di
perseverare nella penitenza, invece di mangiare, benedisse la
pietanza, e subito i due uccelli si misero a volare. Il santo è
ritratto a letto, malato, e indossa il saio: è probabile che,
con questo dettaglio, il pittore abbia voluto alludere alla
radicale scelta di vita in austerità e in povertà del santo,
che si copriva soltanto con rozze tuniche'8. Le sue
mani sono in atto benedicente, mentre un confratello gli porge
un piatto ormai vuoto, sul quale si intravedono le ali spiegate
di due uccelli ormai sbiaditi. |
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Il
secondo riquadro descrive la liberazione di una ossessa, sul
volto della quale si possono ancora intravedere le tracce nere
di diavoli in fuga dopo l'intervento taumaturgico del santo (fig.
75). Il terzo quadro si riferisce invece ad una guarigione
o forse a un ritorno alla vita di una giovane donna (fig.
76).
Entrambe le scene non possono essere ricondotte a specifici
episodi taumaturgici del santo, poiché non sussistono elementi
che possano farci identificare con certezza l'identità delle
due donne. È possibile dunque, viste le numerosissime
guarigioni dalle più svariate patologie e le molte liberazioni
di ossessi attribuite ai poteri miracolosi del santo, che le due
scene si riferiscano in maniera generica alla prodigiosa capacità
di Nicola di guarire gli ammalati e di liberare gli indemoniati39.
Nel
quarto quadro, il primo in alto alla sinistra del santo, Nicola
benedice un impiccato. L'uomo, con una veste bianca e le mani
legate dietro la schiena, è ritratto mentre viene liberato dal
cappio. La fune non è intorno al collo del condannato, ma pende
sulla sua testa, a significare la riacquistata libertà per
opera di san Nicola (fig.
77). |
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La scena, molto probabilmente, si
riferisce all'episodio della liberazione dei fratelli Mizulo e
Vanni40. I due confessarono la responsabilità di un
omicidio mai compiuto per non subire le atrocità di un
interrogatorio accompagnato da torture. Condannati
all'impiccagione, i fratelli si affidarono alla intercessione
del santo. Il primo a subire la condanna fu Vanni. Ma quando,
dopo quattro giorni, i boia si recarono sul luogo
dell'esecuzione per uccidere Mizulo, trovarono Vanni
miracolosamente vivo. Riconosciuto l'intervento di Dio, supremo
giudice, avvenuto per intercessione di Nicola, liberarono anche
Mizulo.
L'affresco
immortala la liberazione di Vanni, ma ricorda, in senso più
ampio, la capacità che ebbe il santo di liberare molti
prigionieri accusati ingiustamente. Egli diveniva, agli occhi
dei fedeli, il celeste aiutante su cui riporre le speranze in
caso di sentenze inique. Scorrendo le testimonianze degli atti
di canonizzazione del santo è frequente, infatti, imbattersi in
storie di rocambolesche evasioni dal carcere messe in atto da
uomini condannati ingiustamente proprio grazie all'intervento di
Nicola41.
Segue,
subito in basso, il miracolo delle anime salvate dal purgatorio
(fig. 78). L'episodio, narrato anche questo nella Vita scritta
da Pietro da Monterubbiano, rappresenta uno dei prodigi
giovanili del santo, da poco sacerdote e residente nell'eremo di
Valmanente, nei pressi di Pesaro. Proprio qui, una notte, Nicola
fu richiamato dalla voce del defunto frate Pellegrino da Osimo,
tormentato dalle fiamme del purgatorio. Egli implorò Nicola di
celebrare una messa per i morti, affinché potesse essere posta
fine al suo tormento e a quello delle anime che pativano le sue
stesse sofferenze. Dal giorno successivo, e per un'intera
settimana, Nicola celebrò messe per i defunti, finché, il
settimo giorno, frate Pellegrino gli apparve, ringraziandolo per
essere stato liberato42.
La
scena è ambientata all'interno di una chiesa; il santo in
paramenti bianchi sta celebrando messa e innalza con le mani
l'ostia consacrata davanti all'altare. Alle sue spalle un
ministrante sostiene un cero pasquale acceso, simbolo di
resurrezione, mentre la campana della chiesa suona
spontaneamente, annunciando l'accaduto miracolo: un angelo sta
portando in cielo l'anima di frate Pellegrino4'.
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Da
questo evento prodigioso, raffigurato anche a Tolentino, nel
Cappellone di S. Nicola, deriva la pratica secolare della «messa
di san Nicola»44, celebrata in suffragio delle anime
di cui il santo fu ritenuto patrono. |
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Nell'ultimo
quadro viene invece proposta una allegoria del santo in qualità
di pacificatore45. San Nicola è ritratto mentre
benedice un contadino e un soldato che si rivolgono a lui a mani
giunte (fig.
79). Il culto di Nicola da Tolentino, unico santo
«contemporaneo» ritratto nell'abside della SS. Annunziata, si
diffuse subito dopo la sua morte, avvenuta nel 130546.
La devozione dei fedeli nel territorio campano fu immediata,
come dimostrano le testimonianze del Processo, e sicuramente
sostenuta dalla fervente pietà di Sancia di Maiorca, moglie del
re Roberto d'Angiò (1309-1343). L'immagine di questa regina
comparirebbe tra quelle dei numerosi committenti del ciclo del
Cappellone di S. Nicola da Tolentino47. |
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Il
secondo registro si chiude con un tabellone istoriato di
difficile interpretazione (fig.
80). La figura centrale propone
un santo dall'aspetto giovanile, glabro, con la chioma bionda e
con indosso una tunica rossa. Oltre a un libro, che impugna con
entrambe le mani, il personaggio non possiede attributi
particolari che possano rendere agevole la sua identificazione,
né i riquadri che lo circondano ne facilitano
l'interpretazione.
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Quelli alla sua sinistra sono quasi
illeggibili, mentre i corrispondenti alla destra presentano un
forte contrasto stilistico tra i primi due ed il terzo, eseguito
da mano più esperta in un secondo momento (fig.
81). È proprio
questa terza scena che presenta indizi facilmente
interpretabili: all'interno di una chiesa un santo monaco, che
la dicitura piuttosto sbiadita dice chiamarsi Gu(ie)l(mu)s, rende
atto di sottomissione ad un vescovo. Il santo indossa un saio
bianco e questo porterebbe a riconoscerlo, come suggerisce anche
la dicitura, in Guglielmo da Vercelli48 (1085-1142),
fondatore della congregazione benedettina di Montevergine,
ritratto mentre presta obbedienza al vescovo Giovanni di
Avellino che riconosce l'utilità e la santità del suo ordine
religioso49.
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Ma,
se tutto il tabellone fosse stato dedicato a Guglielmo da
Vercelli, ci troveremmo di fronte ad una palese incongruenza
rispetto all'iter
narrativo dei tabelloni precedenti: il santo a figura intera non
ha alcun attributo che lo identifichi come san Guglielmo.
Difficile anche l'interpretazione dei due
riquadri in alto, il cui stato
di conservazione non agevola la leggibilità.
Nel primo un re è rappresentato nell'atto di impartire
un ordine a due cavalieri. Nel secondo due uomini a cavallo,
forse due cacciatori (quello a sinistra ha qualcosa in mano,
probabilmente della cacciagione), incontrano un
santo dall'aspetto trascurato, con abiti da contadino, un
rozzo cappello, scalzo e con il viso coperto da una leggera
barba. Sembra impugnare una bacchetta, un fuscello, con cui
potrebbe sostenersi nel cammino. Questa scena potrebbe
riguardare, con una certa forzatura, l'incontro tra san
Guglielmo, intento a cercare un sito ricco di acqua per fondare
il proprio monastero, e due cacciatori, esperti conoscitori del
luogo, che gli indicarono una sorgente50. |
Ma resta
insoluto il significato della scena soprastante e, soprattutto,
il riferimento alla figura centrale. È dunque ipotizzabile una
stratificazione di affreschi relativi a due diversi soggetti
agiografici, giunti a noi sovrapposti e privati del loro
programma narrativo originario. Forse l'inserimento postumo del
riquadro con san Guglielmo fu realizzato per solennizzare la
costruzione del monastero dei verginiani avvenuta nella città
di Sant'Agata de' Goti durante l'episcopato di Giacomo Martone
(1346-1350)51.
Il
terzo registro della parete si apre con una grossa lacuna che,
tuttavia, lascia intravedere la figura di san Giuseppe con il
bastone fiorito. In ogni caso della Sacra Famiglia si è salvata
la Madonna che mostra al Bambino una mela (fig.
69). |
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Con chiaro
riferimento al celebre racconto del Genesi, la Madre sembra
voler presentare al Figlio, frutto del suo grembo, la necessità
di riparare la colpa originale di Eva.
Segue
il tabellone istoriato di san Nicola di Mira'2,
ritratto mentre tiene per i capelli il fanciullo Adeodato; la
figura di Adeodato, beneficiario di uno dei più celebri
miracoli del santo, è divenuta uno degli attributi iconografici
identificativi di Nicola (fig. 85).
La
prima scena illustra la nascita del santo (fig.
82).
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La madre,
Giovanna, ha appena partorito e riposa nella sua camera, distesa
nel letto. Due donne le porgono generi di conforto per alleviare
le fatiche del parto. La prima servente, che indossa una veste
color senape, sostiene una ciotola con la mano sinistra, mentre
con la destra sembrerebbe offrire un batuffolo, imbevuto forse
di sostanze rinvenenti, sali probabilmente. La seconda donna
porge invece alla puerpera una ciotola colma di cibo. E
un'immagine tratta dalla realtà quotidiana e tutta al
femminile: una donna che ha appena partorito riposa nel proprio
letto: altre donne, che hanno assistito al parto, recano
conforto alla puerpera e si occupano del primo bagno del neonato
(fig. 83).
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Nel
Medioevo erano proprio le donne che si occupavano delle
partorienti e, più in generale, delle malattie femminili. La
stanza in cui avveniva il parto era preclusa agli uomini. La
scena qui raffigurata non differisce molto nei contenuti dalla
Nascita della Vergine (1342)
di Pietro Lorenzetti conservata a Siena, nel Museo dell'Opera
del Duomo. Anche in quest'opera sono ritratte delle donne che si
prodigano in favore della partoriente e del neonato.
Tornando
con lo sguardo ai nostri affreschi notiamo che il bambino
dimostra subito, sin dalla nascita, doti straordinarie, presagio
di una personalità fuori dal comune: egli infatti è già in
piedi, ben dritto, ed è intento a
pregare con le mani giunte. «Il giorno in cui nacque,
mentre lo stavano lavando, Nicola si alzò e rimase in piedi nel
catino; e per di più il mercoledì e il venerdì prendeva il
latte una sola volta al giorno»53.
L'autore
dell'affresco ha proposto un altro importante segno per
testimoniare l'eccezionalità del neonato: Nicola non viene
lavato in una semplice tinozza, ma in una vasca che ha le
sembianze di un fonte battesimale. Il primo bagno del neonato
assume un significato ben più importante, è divenuto allegoria
della purificazione dal peccato originale attraverso il
battesimo. E Nicola, mondo da ogni macchia, sembra essere già
pronto a dedicare la propria vita alla preghiera.
Il
secondo quadro si riferisce invece ad una delle più celebri
azioni caritatevoli compiute dal santo: il dono di monete d'oro.
Narra la leggenda agiografica di tre sorelle, diventate talmente
povere da non potere avere una dote ed essere maritate; il
padre, disperato, pensò di farle prostituire. Nicola, venuto a
conoscenza della situazione, si interessò subito a loro.
L'aiuto del santo, giovane e non ancora ordinato sacerdote
(nell'affresco è ritratto con il capo tonsurato, come i
chierici), avvenne tempestivamente, ma, secondo il precetto
cristiano per cui la buona azione del credente deve restare
anonima, con grande discrezione. Nicola gettò infatti di
nascosto una somma d'oro racchiusa in un sacchetto all'interno
dell'abitazione della famiglia bisognosa; compì questa azione
di notte, approfittando del riposo del padre e delle fanciulle
per non essere riconosciuto. Il padre, sorpreso dall'inaspettata
grazia, utilizzò il misterioso dono come dote per la
primogenita, che fece sposare. Ma l'estrema povertà lo
costrinse a pensare di fare prostituire le altre due figlie.
Nicola dunque ripetè la sua offerta una seconda volta e poi una
terza, così che ognuna delle tre ragazze potesse disporre della
propria dote ed essere sposata. Solo la terza volta l'uomo, che
vegliava per scoprire il proprio benefattore, udito il tintinnio
dell'oro, riuscì a riconoscerlo in Nicola.
Il quadro che si
propone ai nostri occhi è inequivocabile: le tre fanciulle
dormono nel loro letto; il padre veglia seduto vicino a loro
nella speranza di poter scorgere chi sia l'anonimo donatore -
l'uomo ha gli occhi socchiusi, non dorme, anche se la sua
postura suggerisce che egli sia piuttosto assonnato, quasi in
procinto di addormentarsi - ed ecco che dalla finestra si sporge
Nicola con il suo sacchetto carico di denaro (fig.
84). Anche in
questo contesto54 la narrazione attraverso le
immagini tende a sintetizzare ciò che la letteratura sviluppa
in maniera estesa, concentrando più elementi di una vicenda in
un unico quadro. |
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Nell'affresco è raffigurato l'epilogo della
storia, come dimostrano la contemporanea presenza del padre che
vigila per conoscere il proprio benefattore e di tutte e tre le
ragazze, benché le fonti letterarie ci dicano che due di esse
si fossero già sposate e quindi, almeno secondo la nostra
logica, non avrebbero dovuto dormire insieme. Ma l'iconografia
medievale privilegia gli elementi che a prima vista identificano
un personaggio, una storia. Elementi, o anche dettagli, che al
nostro sguardo sembrerebbero incongruenze anche grossolane non
lo erano per le donne e gli uomini a cui queste immagini erano
destinate e per i quali tali elementi dovevano essere leggibili
con facilità. Importante in questo contesto non è la necessità
di riproporre una storia in tutte le sue tappe (siamo noi che
guardandole abbiamo bisogno di ricorrere agli antefatti per
comprenderne il significato), ma quella di immortalarla
attraverso i suoi elementi distintivi più importanti.
L'episodio delle monete d'oro fu così celebre che l'iconografia
privilegiò, come attributo principale del santo, proprio tre
sfere d'oro - compensando con la tridimensionalità la riduzione
del numero -. associando la figura di Nicola di Mira
principalmente alla sua azione misericordiosa.
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Il
terzo riquadro propone le immagini della consacrazione a vescovo
di san Nicola che, ricevuti la mitra e il pastorale, impartisce
la sua prima benedizione episcopale (fig.
86). Dopo
questo fatto [episodio delle tre fanciulle], venuto a morire il
vescovo della città di Mira, si riunirono gli altri vescovi per
provvedere a una nuova elezione. Era presente fra gli altri un
vescovo di grande prestigio e autorità, dal quale dipendeva la
scelta di tutti gli altri. Questi aveva raccomandato a tutti
preghiere e digiuni; la notte stessa udì una voce che gli
diceva di mettersi, all'alba, fuori dalla chiesa e di fare
attenzione a chi sarebbe entrato per primo: quello (il cui nome
doveva essere Nicola) avrebbe dovuto essere consacrato vescovo.
|
Informò gli altri vescovi e raccomandò loro di continuare a
pregare, mentre lui si sarebbe messo di guardia alla porta. E,
come per un prodigio, al mattino, quasi accompagnato da Dio.
comparve per primo Nicola.
-
Come ti chiami? -
gli chiese il vescovo fermandolo. E lui, che aveva il candore di
una colomba, inclinato un poco il capo, rispose:
-
Sono Nicola, servo
della vostra santità.
Lo
portarono subito in chiesa e malgrado tutte le sue resistenze lo
fecero sedere sul seggio episcopale55.
L'ultimo
riquadro dedicato agli episodi della vita di san Nicola ritrae
il miracoloso «rapimento» del fanciullo Adeodato messo in atto
dal vescovo di Mira (fig.87). Il fanciullo Adeodato (chiamato
così perché secondo i suoi genitori concesso da Dio tramite
l'intercessione di san Nicola cui erano profondamente devoti) fu
vittima di un rapimento ad opera dei Saraceni e destinato al
loro re come schiavo. Nel giorno anniversario di san Nicola, il
giovane, che serviva alla mensa del re, si rattristò pensando a
come avrebbe potuto trascorrere gioiosa una tale ricorrenza
nella sua casa paterna.
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Il sovrano, accortosi del suo cruccio,
lo minacciò: «Qualunque cosa faccia il tuo Nicola, tu rimarrai
qui con noi»56. Subito si sollevò un forte vento che mise a
soqquadro la casa e portò via Adeodato con la coppa in
mano. Il fanciullo fu restituito ai devoti genitori
presso la chiesa in cui si trovavano per festeggiare il giorno
anniversario di san Nicola, divenuto l'artefice della sua
liberazione.
Il
fanciullo è ritratto durante un banchetto, mentre porge
dell'acqua alla regina e presumibilmente a sua figlia, che siede
accanto a lei. Alla destra delle due donne era raffigurato -
l'affresco è piuttosto rovinato - il re nell'atto di minacciare
il malinconico Adeodato. Degno di nota è l'elemento decorativo
che orna le pareti interne della reggia e che rievoca l'arte
musiva orientale. Il lusso è ben visibile sulla tavola,
apparecchiata con una tovaglia chiara, con delle decorazioni a
rombi anch'esse chiare, che conferiscono al tessuto un aspetto
serico. Oltre ad eleganti coppe, un piccolo pane ed una
ciambella, spiccano due coltelli: il manico nero ben solido e la
lama ricurva e appuntita attribuiscono ai due utensili ben
affilati un aspetto minaccioso. Adeodato, vestito elegantemente,
come si addice al servo di un sovrano, svolge il proprio ruolo
di coppiere inconsapevole del prodigio che è in atto: non si è
infatti ancora accorto che san Nicola lo ha afferrato per i
capelli e sta per portarlo in salvo.
Questa
leggenda sembra essere sorta intorno al IX-X secolo57,
periodo in cui i territori dell'Italia meridionale erano spesso
oggetto delle incursioni e dei saccheggi inferti dalla pirateria
araba. La stessa leggenda, in versione in parte diversa e di
origine orientale, narra di un fanciullo di nome Basilio, figlio
di contadini abitanti presso Mira, rapito dagli Arabi di Creta
durante la vigilia della festa di san Nicola e miracolosamente
liberato dal santo58. Creta fu conquistata dagli
Arabi intorno all'anno 824 e fu base strategica per la pirateria
saracena. L'eco delle violente scorrerie degli «infedeli», ma
anche il timore di subire il rapimento dei propri figli per
farne degli schiavi59, sono senz'altro all'origine di
questo episodio leggendario. I genitori sfortunati a cui era
stato rapito un figlio potevano sperare nell'intercessione e
nella consolazione di san Nicola, protettore dell'infanzia.
Il
culto del santo fu molto diffuso nel territorio beneventano e
nella città di Sant'Agata de' Goti. La diffusione, che
generalmente si crede successiva alla traslazione delle reliquie
del santo nella città di Bari (9 maggio 1087), ha invece
origini più antiche. Tanto era radicata in Campania la
venerazione per questo santo che, prima del 1096, a Benevento fu
composto il libello Adventus S. Nycolai in Beneventum60
per testimoniare come, nonostante Bari ne possedesse il
corpo, san Nicola fosse solito compiere miracoli principalmente
nella città campana. L'opera ci informa che anche due abitanti
di Sant'Agata de' Goti, un uomo affetto da cefalea e suo figlio
gobbo, consigliati da parenti e amici di andare a Benevento
presso la chiesa di S. Nicola e fiduciosi nell'intervento
taumaturgico del vescovo di Mira, guarirono miracolosamente61.
Ma
la competizione che opponeva le città di Benevento e di Bari
coinvolgeva anche san Nicola ed altri santi locali. Degno di
nota, poiché interessa proprio il territorio saticolino, è un
particolare spirito di antagonismo che interessò il culto di
san Menna del Sannio. L'eremita, vissuto nel VI secolo sul monte
Taburno e venerato nella stessa Sant'Agata de' Goti - dove si può
ancora ammirare la chiesa a lui dedicata -, fu ritenuto un
diretto antagonista di Nicola di Bari62. Leone
Marsicano narra di una donna lombarda che decise di portare il
figlio demente presso la tomba di Nicola, a Bari. Giunta nella
chiesa, esausta dal viaggio, dalle preghiere recitate e dalle
lacrime versate, si addormentò davanti all'altare. In sogno le
apparve un uomo vestito di bianco che la rimproverò di perdere
tempo, perché suo figlio avrebbe potuto essere curato da san
Menna. Si recò dunque sul monte Taburno, presso Sant'Agata de'
Goti, ma saputo che le reliquie del santo erano state traslate,
si recò a Caiazzo. Durante il cammino, non ancora giunta
presso il santuario, suo figlio
guarì63".
Nonostante
gli sforzi apologetici dei sostenitori di san Menna, a poco
valsero i tentativi di espugnare il culto di Nicola di Bari: la
chiesa della SS. Annunziata - che si trova a pochi metri da
quella dedicata a san Menna -ci offre ancora testimonianza di
affreschi votivi dedicati al vescovo di Mira, ma nulla che onori
la memoria del santo saticolino.
Chiude
le serie degli affreschi della parete absidale destra il
ritratto di un santo diacono, di incerta identificazione,
vestito di bianco e con la palma
del martirio.
È possibile
che si tratti di san Vincenzo, diacono e marti re
del IV secolo. Tale fu la devozione nei suoi riguardi che a lui
fu dedicata la famosa abbazia presso il fiume Volturno, non
lontano da Sant'Agata de' Goti, il cui fiume, l'Isclero, ne è
affluente.
Gli
affreschi dell'abside nel loro insieme e, in particolare, i
tabelloni istoriati possono essere interpretati come una sorta
di «antologia» della cultura agiografica campana medievale. In
essa prevalgono figure di santi dei primi secoli cristiani,
martiri, santi originari del mondo orientale64.
Attraverso
queste immagini i fedeli imparavano a conoscere, o riportavano
alla mente, le gesta dei loro eroi spirituali. Gesta che
corrispondono sostanzialmente ai miracoli, all'intervento
soprannaturale su cui la devozione popolare confidava in caso di
malattie, insidie della natura, ingiustizie della società, possessioni diaboliche.
Il
santo, mediatore tra cielo e terra, guarisce malati e libera
prigionieri. Attraverso l'esorcismo allontana i demoni e
reintegra gli ossessi, visti dalla società con sospetto, come
un pericolo sociale da emarginare.
Per
stabilire un contatto, una relazione con il santo e poter
beneficiare delle sue virtù, il fedele pronunciava delle
invocazioni, delle preghiere, a cui seguiva un voto che
implicasse una offerta. Questi affreschi, commissionati per lo
più come ex-voto, sono una testimonianza tangibile di questa
pratica devozionale.
Note
1
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, ed. italiana a
cura di A. e L. Vitale Brovarone, Einaudi, Torino 1995, p. 60.
2
San Leonardo è ritratto anche nel Giudizio Universale,
tra le schiere dei beati.
3
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., p. 848.
4
L'ipotesi è suggerita sia dalla consuetudine che vede
spesso membri di una stessa famiglia ritratti a margine di
affreschi votivi, sia dagli abiti del personaggio maschile
ritratto per
secondo. Egli è un
ragazzo, perché indossa una gonnella corta che mette in vista
le calze, secondo la moda dei giovani del tardo Trecento. L'uomo
che lo precede ha invece abiti
lunghi, da adulto: questo farebbe supporre che tra i due ci sia
un legame padre-figlio.
5
Ada Sanctorum (da ora in avanti indicato con AA.
SS.) lanuarii, t. II, Venetiis 1734, pp. 120-141.
6
AA. SS. lanuarii, t.I, Venetiis 1734, pp. 604-607.
7
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., pp.
113-114.
8
AA. SS. lanuarii, t.I, cit., pp. 604-607,
citazione a p. 607.
9
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, voi. II, Istituto
Giovanni XXIII, Roma 1962, coli. 106-136, in particolare coli.
114-115.
10
L'ergotismo è un'intossicazione dovuta alla segale
cornuta, cioè contaminata da un fungo tossico).
11
Cfr. A. e C. Frugoni, Storia di un giorno in una città
medievale, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 69.
12
Del personaggio di Adeodato si parlerà in seguito, in
relazione ad altri affreschi su san Nicola.
13
Dove tolet sta per «tollit».
14
A. Vuolo, La nave dei santi, in Pellegrinaggi e
itinerari dei santi nel Mezzogiorno medievale, a cura di G.
Vitolo, Liguori, Napoli 1999, pp. 57-66.
15
Victor Vitensis, Historia persecutionis Africanae
provinciae, a cura di M. Petschenig, Vindobonae 1881 (Corpus
criptorum Ecclesiasticorum Latinorum, VII), p. 8, citato ivi, p.
63. Per
l'edizione italiana: Vittore di Vita, Storia
della persecuzione vandalica in Africa, a cura di S. Costanza,
Città Nuova, Roma 1981 (Collana di testi patristici, 29), pp.
34-35.
16
Sul rapporto tra topos agiografico e Historia
persecutionis Africanae provinciae scrive Antonio Vuolo: «Peraltro,
a conferma di questa correlazione, mi sembra significativo che
le più
importanti testimonianze
manoscritte dell'opera di Vittore di Vita risalgano ai secoli IX
e XII, cioè appunto al periodo nel quale la nostra tematica con
le sue varianti si propagò in area
campana. D'altra parte, c'è da chiedersi se la diffusione di
questa tematica sia stata provocata solo da uno stimolo
letterario oppure abbia avuto anche una motivazione storica. In
realtà
credo
che i due aspetti siano
correlati, perché di solito ogni testo conserva, al di là
delle sollecitazioni imposte dal proprio genere letterario, le
tracce di eventi esterni. Nel nostro caso la
circostanza contingente
potrebbe identificarsi con l'insicurezza delle coste campane
provocata tra i secoli IX e X dalle frequenti incursioni
saracene, a motivo delle quali le popolazioni
rivierasche furono
costrette a scorgere nel mare non più tanto una risorsa per la
loro sopravvivenza, quanto invece la causa di un timore
quotidiano. Allora, è probabile che proprio per
esorcizzare questo incombente pericolo, peraltro già
contrastato in quello stesso arco di tempo da varie e ben note
iniziative militari, culminate nella famosa distruzione del
temibile
insediamento saraceno alle
foci del Garigliano nel 915, l'agiografia campana abbia
cominciato a far ricorso al tema della nave dei santi e della
sua prodigiosa navigazione»: La nave dei
santi, cit., p.
63.
17
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, voi. X, Istituto
Giovanni XXIII, Roma 1968, coli. 1114-1117, in particolare col.
1115; Bibliotheca Casinensis, III, Florilegium, Montecassino
1877,
pp. 373-374; AA. SS.
Septembris, t. I, Parisiis et Romae 1868, pp. 99-107, in
particolare pp. 209-219.
18
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, voi. X, cit., col..
1114-1116; ivi, vol. III, Istituto Giovanni XXIII, Roma 1963,
col. 945; AA. SS. Septembris, t. I, cit., pp. 209-219.
19
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, voi. IV, Istituto
Giovanni XXIII, Roma 1964, coli. 1288-1290; AA. SS. lunii, t.
I, Venetiis 1741, pp. 211-219.
20
Cfr. nota 16.
21
L'ipotesi non risolve del tutto l'interpretazione dei due
riquadri: in particolare le versioni della passione di
sant'Erasmo non dicono che il santo fu gettato in mare dai
soldati imperiali. Unascena
simile al primo riquadro è raffigurata sul candelabro pasquale
(XIII secolo) del duomo di Gaeta, in cui in quarantotto quadri
sono raffigurate scene della vita di Gesù alternate, secondo
una
disposizione bustrofedica, a scene della vita di sant'Erasmo. In
particolare, la traversata del mare Egeo vede l'angelo e il
santo su una nuvola, mentre in basso è ritratto il mare ondoso,
ricco di
pesci, con due barche in balia dei flutti. A lato è stata
scolpita una prigione vuota, ad indicare la fuga miracolosa dal
carcere. Non ci sono, come nella chiesa della SS. Annunziata,
dei soldati che
gettano in mare il vescovo. Cfr. M. Pippal, Der Osterleuchter
des Doms S. Erasmo zu Gaeta, in «Arte medievale», II
(1984), p. 203, fig. 7. Gli studi sulla tradizione manoscritta
della passione
di sant'Erasmo denunciano inoltre molti dettagli in comune con
quella di Canione di Atella, e in generale con le passioni di
antichi martiri. Una notevole fluidità narrativa, che utilizza
luoghi
comuni ed episodi
leggendari attribuendoli a santi diversi, caratterizza la
produzione agiografica campana del IX-X secolo, rendendo assai
difficile discriminare, nel campo dell'iconografia, un
santo da un altro. Cfr. G.
Desantis, Il culto di s. Erasmo fra Oriente e Occidente, in
«Vetera Chri-stianorum», 29 ( 1992), fase. 2, pp. 269-304; F.
Dolbeau, Le dossier de saint Canion d'Atella.
A pro-pos d'un livre récent, in «Analecta Bollandiana»,
114 (1996), pp. 109-123. Sulle diverse versioni della vita di
sant'Erasmo cfr. V. von Falkenhausen, Problemi di traduzione
di testi
agiografici nel
Medioevo: il caso della Passio sancti Erasmi, in Santità,
culti, agiografia. Temi e prospettive. Atti del I Convegno dell'AISSCA,
Poma 24-26 ottobre 1996, a cura
di S. Boesch
Gajano, Viella, Roma 1997, pp. 129-137.
22
Si veda in proposito G. Kaftal, Iconography of the
Saints in Tuscan Painting, Sansoni, Firenze 1952, col. 290,
fig. 331.
23
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., p. 927: «Lei
stessa visitava i malati: la compassione per gli infelici tanto
le toccava l'anima che cercava i loro alloggi e li visitava con
premura...»;
Bibliotheca Sanctorum, voi. IV, cit., coli. 1110-1124.
24
Cfr. Bibliotbeca Sanctorum, vol. III, cit., coll.
158-70; AA. SS. Februarii, t. I, Parisiis et Romae 1858,
pp. 331-353.
23
P. Baglioli, Il santo e gli animali nell'Alto Medioevo, in L'uomo
di fronte al mondo animale nell'Alto Medioevo. Atti della XXXI
Settimana di studio del Centro italiano di Studi sull'Alto
Medioevo, Spoleto 7-13 aprile 1983, Centro italiano di Studi
sull'Alto Medioevo, Spoleto 1985, pp. 935-993, in particolare
pp. 975-976.
26
Ivi, pp. 980-981.
27
G. Ortalli, Lupi, genti, culture. Uomo e ambiente nel
Medioevo, Einaudi, Torino 1997, p. 52.
28
Ivi, p. 53. «Nella visione 'paradisiaca' del deserto non
bisogna dimenticare la familiarità di quanti vivono, o vi si
ritirano, con gli animali selvaggi. È il modello di Antonio e
di Paolo, che, in
mancanza di leoni in Occidente, fanno dell'orso, del cervo,
dello scoiattolo gli amici e gli interlocutori degli eremiti»:
J. Le Goff, Il deserto foresta nell'Occidente medievale, in
Id.,
Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente
medievale, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 25-44, p. 31.
29
A4. SS. Februarii, t.I, cit., p. 340.
30
L'artista che ha realizzato gli affreschi sulla vita di
san Biagio sembra seguire la versione della leggenda agiografica
in cui Biagio compie il «miracolo della lisca di pesce» mentre
è in prigione e
non lungo il suo itinerario alla volta di Sebaste: cfr. hi, p.
350.
31
Cfr. Bibliotbeca Sanctorum, vol. IX, Istituto
Giovanni XXIII, Roma 1967, coli. 1252-1271; AA. SS. Octobris,
t. LX, Parisiis et Romae 1869, pp. 173-281; Iacopo da
Varazze, Legenda Aurea,
cit., pp. 863-867.
32
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., p. 864.
33
«Tutti però protestarono, pensando che gli avesse dato
di volta il cervello, dato che voleva lasciare la gloria del
pontificato correndo dietro a quelle donnette pazze; egli però
non si piegò, e
nominò un sant'uomo, di nome Ameto, al suo posto: per il fatto
d'aver lasciato la sede pontificia senza il consenso degli
altri, il suo nome fu cancellato dal clero dalla lista dei papi,
e quel
grancoro di vergini perdette dal quel momento tutto il favore di
cui godeva alla corte di Roma»: ivi, pp. 864-865.
34
Antonio Vuolo vede nella leggenda di santa Orsola e della
sua nave con migliaia di vergini una variante del tema della
nave dei santi: «Se il tema della nave dei santi, con le sue
varie sfumature
finora segnalate, si rintraccia nei testi agiografici campani al
massimo fino al XII secolo, è pur vero, tuttavia, che tale
tematica con maggiori o minori analogie sopravvive altrove.
Per
esempio, in una forma
molto simile al racconto campano, essa si ritrova nella Vita di
s. Marta e nella Vita di s. Lazzaro, diffuse verso la fine del
XII secolo in area provenzale, dove
probabilmente entrambi i testi furono composti; oppure il
medesimo tema è ravvisabile, seppur in sottofondo, nella
cosiddetta 'Ursula Schifflein' ovvero la 'navicella di
sant'Orsola',
che fu il nome adottato da
numerose confraternite tra i secoli XIV-XV nei territori
dell'Impero, in ricordo della prodigiosa navigazione che
l'omonima martire avrebbe intrapreso
dalla Bretagna verso quelle
terre con il suo spettacolare corteo di undicimila vergini»:
Vuolo, La nave dei santi, cit., pp. 64-65.
35
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., p. 866.
36
Historia Beati Nicolai de Tolentino ordinis fratrum
heremitarum Sancti Augustini composita a fratte Vetro de Monte
Rubiano lectore anno MCCCXXVI tempore domini]ohannis
Papae XXII,
in AA.
SS. Septembris, t. III, Venetiis 1761, pp. 644-664.
37
Cfr. Il Processo per la canonizzazione di san Nicola da
Tolentino, ed. critica a cura di N. Occhioni, Padri
Agostiniani di Tolentino-Ecole Francaise, Tolentino-Rome
1984,
Teste n. 327, p. 616.
38
Historia Beati Nicolai de Tolentino cit., cap. IlI,
par. 24, p. 648.
39
Negli atti del Processo di canonizzazione, nella sezione Documenta
et mandata, si riassumono così le molteplici azioni
miracolose del santo: «[...] fuit expositum coram nobis et
fratribus nostris, etiam cum frequenti instantia et pluries reperita, quod
recolende memorie Nicolaus de Tholentino ordinis heremitarum
sancti Augustini, Camerinensis diocesis, diutius
in eodem ordine
laudabiliter conversatus, sanctitatis nitore dum vixit emicuit,
vita et conversatione resplenduit, ac magnis et multis tam ante
quam post obitum eius, in resuscitatione
videlicet mortuorum et
diversorum curatione morborum, effugatione demonum, illuminando
etiam cecos, et liberando captivos, surdis auditum et variis
miraculis coruscavit»:
Il Processo per la
canonizzazione di san Nicola da Tolentino, cit., pp. 3-4.
40
Historia Beati Nicolai de Tolentino cit., cap.
VIII, par. 80, p. 663.
41
Le testimonianze sono numerosissime: rimando alla
sintesi, redatta come prolusione alle testimonianze del Processo
di canonizzazione, citata alla nota 39.
42
Historia Beati Nicolai de Tolentino cit, cap. II,
parr. 10-12, pp. 646-647.
43
Le scene che riproducono la liberazione dell'anima di
frate Pellegrino e dell'indemoniata sono molto simili a quelle
affrescate nel XV secolo a Napoli, nella chiesa di S. Giovanni
in
Carbonara. Cfr.
G. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South
Italian Schools of Painting, Sansoni, Firenze 1965, fig.
984, col. 823; fig. 986, col. 826.
44
Cfr. F. Bisogni, Il pubblico di san Nicola di
Tolentino: le voci e i volti, in Il pubblico dei santi.
Torme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici, Viella,
Roma 2000, pp. 227-250.
Sulla relazione tra «messa
di san Nicola» e le pratiche precedenti scrive Bisogni: «E
questo l'unico evento prodigioso, se tale si può dire, di
Nicola in vita presentato in questo ciclo
[Cappellone di Tolentino]
ma di grande importanza per l'attrattiva del pubblico. Da esso
infatti deriva la pratica secolare della 'messa di san Nicola'
per le anime purganti, riduzione
più economica in ogni
senso, e quindi concorrenziale, della più antica 'messa di san
Gregorio' celebrata sempre per le anime purganti ma che, per
condurre a buon fine, doveva essere
celebrata dallo stesso
sacerdote, sullo stesso altare, per trenta giorni ininterrotti»:
ivi, pp. 232-233.
45
È l'interpretazione data da George Kaftal ad un affresco
umbro (secolo XV) - del tutto simile a questo oggetto del nostro
studio - che propone le storie di Nicola da Tolentino.
Cfr. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South Italian
Schools cit., fig. 991, col. 828.
46
Il riconoscimento della santità di Nicola da Tolentino
da parte della Chiesa ebbe invece un corso meno rapido: papa
Bonifacio IX concesse l'indulgenza ai pellegrini che si
recavano
a Tolentino e si occupò
del Processo di canonizzazione senza riuscire a terminarlo, nel
1390, con la bolla Splendor paternae gloriae, e nel 1400,
con la bolla Licet is de cuius.
La bolla di
canonizzazione, Licet militans, risale invece a papa
Eugenio IV, che la emanò nel 1446: Bibliotheca Sanctorum, vol.
IX, cit., coll. 953-968.
47
«Di immagini di donatori è cosparsa, come si è detto,
l'intera superficie affrescata, e questo è un primo pubblico
assai qualificato, come la regina nella prima scena in alto,
quella
dell'Annunciazione, che altra volta ho proposto di identificare
come Sancia di Maiorca sposata nel 1304 a Roberto d'Angiò che
diviene re nel 1309. La sua pietà era grandissima e
le sue spese di carattere
religioso così ampie che il re: dichiara che l'erario
pubblico è estraneo alla prodigalità maniacale della consorte.
Dal Processo sappiamo che il culto
di Nicola era esteso anche
a Napoli»: Bisogni, Il pubblico di san Nicola di Tolentino cit.,
p. 235.
48
Guglielmo da Vercelli scelse l'abito bianco perché concorde con la
corrente monastica di Citeaux e Camaldoli, contrapposta a quella
di Cluny che aveva optato per il nero.
Cfr. Bibliotheca Sanctorum, vol. VII, Istituto Giovanni XXIII,
Roma 1966, coll. 487-489; AA. SS. Iunii, t. V,
Venetiis 1744, pp. 112-139.
49
A4. SS. Iunii, t. V, cit., pp. 112-139.
50
Ivi, p. 117.
51
F. Viparelli, Memoria Istorica della Città di
Sant'Agata dei Goti, Napoli 1841, p. 60.
52
Si veda C.W. Jones, S. Nicholas of Myra, Bari and
Manhattan, University of Chicago Press, Chicago 1978 (trad.
it., San Nicola. Biografia
di una leggenda, Laterza,
Roma-Bari 1983).
53
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., pp. 26-33,
citazione a p. 26.
54
Si veda ad esempio l'ultima scena del tabellone istoriato
di sant'Antonio abate.
55
Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, cit., p. 27.
56
Ivi, p. 33.
57
Jones, San Nicola cit., pp. 80-82.
58
Ivi, p. 82.
59
Cfr. A. e C. Frugoni, Storia di un giorno cit.,
pp. 135-141.
60
Adventus Sancti Nycolai in Beneventum, a cura di
G. Cangiano, in «Atti della Società storica del Sannio», II
(1924), pp. 131-162.
61
Ivi, p. 141.
62
Leone Marsicano, Vita S. Mennatis, PL, CLXXIII,
coli. 989-993.
63
Ibid.; citato da Jones, San Nicola cit., p.
213.
64
Cfr. Vuolo, La nave dei santi, cit., pp. 57-58.
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